8 Marzo 2025

Alice Lucchini

Al via i centri per migranti in Albania di Meloni: storia di un disastro umanitario mascherato da riforma epocale

“I centri in Albania funzioneranno, dovessi passarci ogni notte da qui alla fine del governo italiano”. E’ con queste parole che la Presidente del Consiglio italiana Giorgia Meloni ha parlato dell’apertura dei nuovi centri di detenzione per migranti in Albania, nel dicembre 2024. Secondo il governo, dopo mesi di critiche e battute d’arresto, i centri sono ora pronti e operativi. La dichiarazione difensiva di Meloni arriva dopo la prima – palesemente fallita – inaugurazione risalente all’ottobre 2024. Fu allora che il primo gruppo di 12 migranti, salvati dalla Marina Militare Italiana, venne portato al centro di Gjadër, solo per fare ritorno in Italia dopo pochi giorni, a seguito della decisione del tribunale di Roma di non convalidare la loro detenzione.

I due centri fanno parte di un accordo firmato nel novembre 2023 dalla Presidente del Consiglio italiana e dal suo controparte albanese, Edi Rama. Le circostanze in cui questo accordo è stato sviluppato suggeriscono che si tratti di un atto puramente politico, riflettendo da un lato l’interesse di Meloni nel portare avanti la sua propaganda anti-immigrazione, e dall’altro gli sforzi di Rama per favorire l’adesione dell’Albania all’UE. L’accordo è il primo del suo genere, prevedendo l’esternalizzazione dei processi di asilo al di fuori del territorio nazionale, in un paese terzo. Con una spesa totale di circa 670 milioni di euro, i due centri sono gestiti interamente dall’Italia e rientrano quindi sotto la giurisdizione italiana. Solo il sistema di sicurezza esterna dei centri sarà affidato alle guardie albanesi. Il primo centro si trova a Shëngjin, mentre il secondo è situato nei pressi di un ex aeroporto militare a Gjadër. Il piano prevede che i migranti salvati in mare dalle navi militari italiane vengano trasferiti in Albania. I centri sono stati progettati per ospitare fino a 3.000 migranti contemporaneamente, con l’obiettivo di processare un totale di 36.000 trasferimenti all’anno. In queste strutture, le richieste di asilo verranno esaminate su suolo albanese ma sotto giurisdizione italiana ed europea, e verranno trattenute le persone in attesa di espulsione e rimpatrio, con un’applicazione extraterritoriale della detenzione amministrativa. Meloni ha dichiarato che le autorità prevedono di elaborare le richieste di asilo entro 28 giorni, accelerando così la procedura burocratica attualmente molto lunga.

ONG, avvocati per i diritti umani e partiti di opposizione hanno da tempo espresso critiche e preoccupazioni riguardo all’accordo, considerandolo in conflitto con il diritto internazionale e lesivo dei diritti umani dei migranti. Nonostante le opinioni critiche, Meloni è sempre stata una strenua sostenitrice del suo progetto, sottolineandone in particolare il suo aspetto innovativo come strumento efficace per gestire la migrazione verso l’Europa. “L’elemento di maggiore utilità di questo progetto è che può rappresentare uno straordinario strumento di deterrenza a chi vuole raggiungere irregolarmente l’Europa”, ha dichiarato Meloni a giugno¹. Da un punto di vista critico, questa iniziativa si allinea con la crescente esternalizzazione della migrazione, ovvero la tendenza europea a delegare a paesi terzi il controllo dei flussi migratori. Questo fenomeno si accompagna alla “narrativa securitaria” portata avanti dai partiti della cosiddetta destra populista, di cui Fratelli d’Italia, il partito di Meloni, è l’esempio principale in Italia. Fin dall’inizio del governo Meloni nel 2022, la migrazione è stata un tema centrale del dibattito, rappresentata come una questione di sicurezza, con un’enfasi costante sui migranti come simbolo di una minaccia imminente per la popolazione locale e una crociata propagandistica contro l’immigrazione irregolare.

Il progetto in Albania è dunque un caso esemplare delle politiche che la destra di Meloni ha sempre voluto implementare, a discapito delle persone in movimento e dei loro diritti.

Questo è stato sottolineato da molte organizzazioni, con Amnesty International che ha esortato il governo italiano a “rispettare i suoi obblighi di diritto internazionale in materia di non-refoulement, garantire il diritto d’asilo e invitare la Commissione Europea a vigilare affinché gli Stati membri non violino la normativa in materia di asilo”. Nel loro comunicato ufficiale, denunciano pubblicamente che l’accordo potrebbe essere utilizzato per aggirare le leggi nazionali, internazionali e dell’UE, con conseguenze devastanti per le persone in movimento. La stragrande maggioranza delle richieste di asilo è destinata ad essere respinta, poiché i richiedenti provengono da paesi che, secondo la classificazione italiana, sono considerati sicuri. Di conseguenza, la maggior parte delle richieste verrà rigettata e le persone saranno detenute e successivamente rimpatriate. Inoltre, sono state sollevate preoccupazioni riguardo alla valutazione delle situazioni di vulnerabilità, con molti esperti che si chiedono in base a quali criteri il governo selezionerà le persone che dovranno essere trasferite a Shëngjin o Gjadër. Sia l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani che il Commissario per i Diritti Umani del Consiglio d’Europa hanno espresso preoccupazione per il rispetto dei diritti dei migranti, soprattutto in termini di identificazione delle persone vulnerabili, adeguatezza delle procedure di asilo e libertà dalla detenzione arbitraria.

Oltre alle critiche all’iniziativa nello specifico, il progetto si inserisce in un contesto europeo di crescenti ristringimenti e violenti misure anti-immigrazione. L’inasprimento delle regolamentazioni a svantaggio delle persone migranti è l’ennesimo sintomo di una virata verso politiche sicuritarie di destra in Italia, ma anche in altri paesi come Germania, Bulgaria e Austria. Dopo il trionfo del settembre scorso del Partito della Libertà d’Austria (FPÖ), il nuovo governo di coalizione in Austria è nato di recente con l’intento dichiarato di imporre regole più severe nel campo dell’immigrazione e implementare punizioni sempre più gravi contro qualsiasi tipo di estremismo. Questo è già stato fatto manifesto con la recente notizia sulla decisione del governo austriaco di sospendere in maniera immediata le riunificazioni familiari per i richiedenti asilo, invocando le disposizioni di emergenza dell’Unione Europea relative alla sicurezza nazionale.

Mentre il dibattito continua a suscitare critiche, anche l’ultimo tentativo di trasferire un gruppo di 43 migranti nei due centri, risalente al mese scorso, è clamorosamente fallito. A seguito della valutazione della Corte d’Appello di Roma, che ha rimesso il caso alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, tutti i migranti sono stati riportati in Italia.

Essendo ormai sempre più chiaro che il piano non funzionerà, Meloni sta tentando disperatamente di aggirare la posizione dei tribunali, esponendo il governo a ulteriori violazioni delle norme del diritto europeo. Gli sforzi di Meloni nel promuovere questo progetto e nel sottolinearne la legittimità all’interno della comunità internazionale possono essere considerati un tentativo ostinato di reagire alle critiche provenienti da ogni parte e di giustificare l’ingente spesa che questo nuovo accordo sta comportando. Mettendo da parte qualsiasi preoccupazione umanitaria, Meloni ha portato avanti una linea politica fortemente basata sulla crescente securitizzazione, che ha sempre caratterizzato le politiche del suo partito. Il tutto senza nascondere le intenzioni e gli interessi puramente politici dietro l’accordo, nel tentativo di ottenere il favore della comunità europea e guadagnare rispetto e fiducia a livello internazionale. Come sempre, la categoria di persone più colpita è quella dei migranti, che ancora una volta pagano il prezzo delle politiche di securitizzazione e degli ostacoli fisici e burocratici di quella tanto decantata, ma sempre più ostile, “fortezza Europa”.